Eros Ramazzotti

Eros_Ramazzotti

Un vero perfezionista con la voce “da citofono”.

Abbiamo ascoltato in anteprima il nuovo disco di Eros, carico di energia positiva ma senza la speranza di quella terra promessa venti anni fa…

Arriva lui. Sembra un po’ imbronciato, sulle prime. Timido oppure sulle difensive?

Ci sediamo sul comodissimo divano di canapa écru, e gioca a stingere un cuscino sulla pancia.

L’intervista si snoda tranquilla come una chiacchierata fra vecchi amici. Allora ride spesso, sembra un orso soddisfatto e fa addirittura dell’autoironia sul timbro “da citofono” della sua voce…

D. – Ancora Celso Valli per gli arrangiamenti?

E. – Celso a questo giro non c’è. Abbiamo lavorato io e Claudio con gli americani per una parte del disco, e sempre io e Claudio abbiamo fatto la supervisione sul lavoro di Michele Canova, che è il produttore di Tiziano (ferro) e di Lorenzo (Cherubini). E’ stata mia comunque l’idea di cercare di splittare i suoni molto live, molto americani, elettronici.

D. – L’arrangiamento fa il 50% del progetto non credi?

E. – No. Per me il 100% lo fanno le canzoni. Poi come le vesti, difficilmente le puoi rendere brutte. L’importante è che ci sia la canzone, il testo… può solo migliorarla.

D. – Come nascono le parole in questo disco?

E. – Su tutti i miei dischi nascono…. grazie soprattutto all’aiuto fondamentale di Adelio Cogliati, che è un poeta mancato e ha scelto negli anni 80 di lavorare solo esclusivamente per me. Dalle mie idee, dalla mia vita, dalle tante cose che scrivo, e dalle tante cose che riesce a tirare fuori da me, nascono i testi, le tematiche… Eros è Eros con l’aiuto di Claudio per quanto riguarda la musica, e di Adelio per i testi. In questo modo riusciamo ad arrivare al cuore della gente.

D. – Questo nuovo lavoro esce dopo un disco che è stato un anno in classifica. E’ una bella responsabilità, non credi?

E. – La mia vena artistica, penso che sia nata il giorno che sono uscito dalla pancia di mia mamma. La musica per me è una grande passione, ma diventa un lavoro che ogni giorno devi fare sempre meglio. Almeno questo è il mio modo di pensare, fa parte del mio carattere. Se non fosse così non sarei qua a parlare.

D. – Ma quando una cosa creativa diventa un lavoro, non diventa anche una fatica?

E. – No. La fatica è quando vai a scavare in miniera alle cinque di mattina. C’è fatica e fatica. Questa la faccio volentieri e non mi basta quello che ho. Io alla gente voglio dare sempre il massimo. Non mi va di fare bene solo una canzoncina che fa funzionare il disco. Io devo fare bene tutto, anche i pezzi che non andranno in rado devono avere spessore.

D. – E’ vero. Tu hai sempre pensato in grande. Come se possedessi la capacità di vedere le cose da fuori e da lontano.

E. – Esatto.

D. – Fin da bambino, ho saputo, dicevi che saresti diventato un grande cantante…

E. – Mio padre lo diceva. Non io! Io per carità, ci litigavo.

D. – Allora è lui che ti ha spinto.

E. – La facoltà di impegnarti e di dare spessore alle cose, quella ci nasci. Certo che il successo improvviso in Italia e all’estero ha ingigantito questa mia voglia di fare bene. Non è megalomania ma voglia di fare bene. E questo mi ha fatto decidere, andiamo in America a fare dischi! Lasciamo fare gli arrangiamenti a Celso Valli che è il numero uno in Italia! Grazie anche però all’appoggio dei discografici che io a mia volta appoggiavo nelle loro scelte. Investivamo molto sia nei dischi sia nei tour. Ho guadagnato sempre meno di quello che avrei potuto, perché ho reinvestito tanto denaro.

D. – Come Madonna.

E. – Ma sai, Madonna ha dovuto perché non è che abbia una gran voce. Per quello deve mettere gli elefanti sul palco. Si è venduta benissimo con questa struttura che segue i suoi concerti. Comunque penso non basti il disco suonato su due piste.

D. – Come spieghi il tuo successo all’estero?

E. – L’italiano è molto amato in Europa. E credo che io ne abbia rappresentato e ne rappresenti lo stereotipo. Non credi anche tu?

D. – Sì. Ma tornando al disco nuovo, per esempio…

E. – Per me è già vecchio! Sto già pensando al nuovo…

D. – Quanto ci hai lavorato?

E. – Per un anno e mezzo. Ma dicevi?

D. – Nel nuovo disco, come nei precedenti sembra comunque predominare la semplicità dei sentimenti. Che è sempre stata la tua carta vincente. Si tratta forse di una formula stereotipata, che ha funzionato bene e funzionerà ancora, oppure è spontanea? I tuoi 45 anni sono in sintonia con i testi e le emozioni che provi cantando?

E. – Io vivo e racconto la realtà, capisci? Certo Adelio mi dà una mano a fare in modo che certi testi e certe tematiche, anche se magari già sentite e risentite, riescano a stare bene in questo momento della nostra vita o nel momento in cui con un disco uno cerca di trasmettere qualcosa. Per me è fondamentale che m’arriva qualcosa, a me personalmente. Dopodichè io non posso pensare di essere sempre d’accordo con la gente che ascolta. Non sto poi a guardare se il disco va meglio o peggio del disco precedente. Faccio le mie canzoni, poi è la gente che decide. Io non mi metto a tavolino.

D. – La frase della tua canzone “grazie di esistere” è stata molto usata nei biglietti d’amore dalla nostra generazione, ammettilo!

E. – Certo! Quell’altra, Se bastasse una canzoneSe bastasse un par de canziones, a Cuba, la cantavano come se fosse una canzone loro. Per me è fondamentale che arrivi un messaggio positivo, ma senza voler insegnare niente a nessuno. Mi piace l’idea che questo messaggio arrivi a tante persone perché trovo che in giro ci siano tante schifezze.

D. – La terra promessa, un mondo diverso… insomma il mondo che ti auspicavi non mi sembra in effetti questo gran che!

E. – Certo, certo. La terra promessa… ma sai lì c’è un po’ il comportamento generazionale… mi ricordo ero in Francia, nel 92, con un mio amico a Saint Tropez, andai a fare un giro, e fuori da un bar c’erano due o trecento ragazzini marci, ubriachi, si facevano di droga, una roba brutta. Io non sono un bigotto, bisogna divertirsi. Queste cose poi amplificate fanno il non ideale, i comportamenti sbagliati, fanno quelli che vanno in giro con i coltelli che basta che uno dice “a” e viene accoltellato e ucciso. Ma viene tutto da lontano. Non pensi che tutto venga da lontano? Negli anni settanta c’erano i gruppettari, c’erano le spranghe. C’erano gli ideali da difendere. Adesso invece cosa c’è da difendere?

D. – Povia ha difeso l’eterosessualità al festival di Sanremo…

E. – Sì, sì…

D.– Ricordo che Aldo Busi telefonò in diretta durante una trasmissione, sarà stato nell’ottantaquattro, e cercò di spiegare ai genitori orgogliosi di avere un figlio gay che lo stavano ghettizzando proprio perché se l’omosessualità fosse stata normalmente accettata non avrebbero avuto bisogno di andare a difenderlo in quella trasmissione.

E. – Certo.

D. – Se pensi alla Tatangelo l’anno scorso, e a Povia quest’anno insomma… Siamo caduti in basso e ridotti male! Non era meglio che Grillini se ne stesse a casa propria, anziché andare a protestare al festival di Sanremo?

E. – Io trovo invece che non si può dire niente. Uno dice “ah, i gay”, subito. Bum, ti ammazzano. Quello sì è sbagliato, ma non capisco cosa intendi per ghettizzazione.

D. – Non pensi che si ponga troppo l’accento sulla diversità?

E. – Beh no. E poi c’è modo e modo di imporsi. Se a me una cosa non va bene cerco di farlo capire senza essere estremo. Io non posso non cantare Non possiamo chiudere gli occhi, perché le cose le vedo, come i bambini che vengono stuprati e uccisi dai pedofili oppure picchiati in casa mentre i genitori sono in chiesa a pregare, oppure una donna stuprata, oppure la terra massacrata dal nostro comportamento. Queste cose esistono e vanno accusate. La musica è come un quadro, come un libro, bisogna metterci qualcosa dentro…

D. – Torniamo alla musica. Com’è nato il duetto con Ornella Vanoni Solo un volo nel suo bel disco da 170 mila copie Più di me?

E. – Celso mi telefonò, e mi parlò di creare una canzone per Ornella e Mina. Ero proprio qua, in questo studio con Claudio, e c’era un’idea mia che abbiamo sviluppato, testo di Adelio, su mia intuizione… facciamo il pezzo, lo mandiamo a Celso, lui lo manda a Mina e Mina non lo accetta. Io dico, vabbè lo faccio io, chi se ne frega ma fammi sapere Mina cosa fa, perché mi sembra brutto che è già due volte che Mina non accetta le mie cose. (L’altro duetto era per Mina Celentano, poi invece l’hanno fatto Morandi e Alexia). E ho capito anche il perché: un giorno ho detto che Mina è il più grande talento che abbiamo in Italia ma non fa dei dischi all’altezza. Non ho detto che fa dei dischi schifosi o di merda. Ho detto che non è più come negli anni sessanta e settanta che ogni cosa che faceva era una It. E lì se l’è legata un po’ al dito. Però ha scelto un pezzo di Mingardi, (Andrea siamo amici, è una persona fantastica,) e non ha accettato il mio. Mi sembra un po’ una presa in giro. Anch’io c’ho il mio carattere, e ho detto vabbè lo canto io.

D. – Vi siete incontrati per farlo tu e Ornella?

E. – No. – L’ho fatto io a Bologna, con la base. Lei non c’era, e l’ha cantata poi a Milano. Ci siamo comunque incontrati per fare l’intervista e le foto per Panorama.

D. – Con Ornella, durante una mia intervista, scherzavamo sulla tua voce. Lei ha detto che le mette allegria perché quando ti ascolta pensa a Paperino.

E. – (Ride di gusto). Beh ce ne sono tanti di paperini in giro adesso. Dalla Winehouse alla Giusy Ferreri, a Malika Ajane, alla ragazzina appena uscita da X-factor, Noemi. Hanno tutte una voce ingolata. Eh, io ho aperto la strada a tutte, cazzo, e poi mi dicono che canto come un citofono. Ogni tanto leggo sui blog delle critiche che mi ammazzano. L’unico che non ammazzano è Vasco, giustamente che è un idolo.

D. – Gli altri duetti?

E. – Con Riky (Martin) l’abbiamo fatto qua. Lo stesso con Anastacia. Con Tina (Turner) a New York. Con Cher a Londra.

D. – Un aneddoto con qualcuno di essi?

E. – Con Cher! Stavamo registrando, lei fece una mezz’ora di canto insieme a me, poi sparì. Veramente. Dopo due ore è risbucata, ci ha salutato. Tu l’hai più vista? Mai più vista ne per la promozione ne per un’intervista insieme. Secondo me quello che prima mi gestiva le cose ci ha provato e questa è scappata. Non lo so cos’è successo. Tina invece ha fatto il video, e contrariamente a quello che dice Tozzi non è stata pagata. Avrà bevuto un po’ Tozzi, fa male il vino, è! Anche Anastacia fece la promozione senza volere niente.

D. – Che musica ascolti?

E. – Vado spesso sul passato. Genesis, Queen. Cremonini, nel presente, mi piace molto, se solo avesse la testa meno pazza. Mi piace Pacifico, mi piace la Noemi.

D. – I Bastards?

E. – Sì, certo, anche se penso che in Italia sia più difficile emergere con quel genere di musica. Le nostre radici sono diverse. Ti metti a fare il pank e il rock, magari bene, eppoi gli americani e gli inglesi ti fanno un mazzo così… però è giusto essere aperti a tutto. Io sono un melodico, ma se mi vai ad ascoltare sono un blues man. In Italia chi fa l’alternativo smerda il pop. In America questo atteggiamento non esiste. Grandi musicisti lavorano volentieri con Eros Ramazzotti, anche se io penso che sia è più difficile fare una canzone pop che un disco rock. Il rock lo fai con un po’ di gtr a palla e la batteria in una certa maniera… Il pop invece è tutto da costruire e deve arrivare al cuore e all’anima…

D. – Come costruisce una canzone Eros Ramazzotti?

E. – Una stanza così, un piano, una voce, una batteria elettronica e può nascere un pezzo di un minuto, poi ne fai un altro e un altro ancora. Poi lasci tutto lì, e il giorno dopo lo riascolti e ne butti via la metà. O magari lo metti insieme ad altre cose. E’ un lavoro artigianale. Da quello poi nasce un testo che sostituisce il finto inglese.

D. – Cos’è il finto inglese?

E. – Il fake english… tipo Wondgameloveiougivemi… Come prisencolinenciolanciusol di Celentano. E lì l’ha dovuto lasciare così! Lui è stato innovativo. Negli anni settanta Adriano faceva il rap. Lui è geniale. Come Lucio Battisti è stato un innovatore…

D. – Avevi un progetto su Lucio Battisti. L’hai messo da parte?

E. – O fai un lavoro come fece George Micahel che cantò al posto del povero Freddy Mercury. Fu un progetto pazzesco. Non posso fare le cose alla cazzo di cane! Ho troppo rispetto per l’artista.

D. – Il nostro direttore mi ha suggerito un paio di domande… Cosa stai leggendo in questo periodo?

E. – Eccola là! Giulio Verne. Solo che ho qualche problema di vista. Il mio oculista mi ha detto che dopo i quaranta si abbassa la vista e c’ho una congiuntivite perché ho messo delle gocce sbagliate. Per cui faccio fatica a leggere. Poi sto leggendo quello sui bambini che si drogano e si prostituiscono, non so se l’hai letto, di questa milanese che ha fatto questo tour nelle discoteche, “Mi chiamo principessa e ballo sul cubo”, o una roba del genere. E’ agghiacciante, per quel poco che riesco a leggere sono coltellate. Avendo una figlia giovane così, sono preoccupato.

D. – Ancora una domanda dalla direzione…

E. – Quanto peso? 84 e mezzo. (Ride come un matto). Quante ne trombo a settimana?

D. – No, vorremmo sapere qual è il primo disco che hai comprato.

E. – Vinile?

D. – Sì.

E. – Beh, intanto li comprava mio padre. Io non c’avevo una lira. Mi ricordo perfettamente invece che suonavo una batteria, una di quelle da ragazzino, sui dischi dei Rolling Stones. Era il 1967, ‘68. Comprai a piazza Navona tutti i dischi Jimi Hendrix.

D.- Mi racconti di quella volta di Fellini?

E. – Ero ragazzino e giocavo al pallone in strada. Ci prendevano e ci portavano a Cinecittà che era a due chilometri. Poi chiamavano le mamme di ognuno di noi per tranquillizzarle che eravamo stati presi e portati lì e ho un flash di questa situazione dove ci hanno cambiato, ci hanno buttato in questo studio, dove era stato ricreata una montagna con la neve che veniva sparata dai ventilatori. Fuori quaranta gradi e dentro forse anche di più. Dovevamo tirarci queste palle di neve, e ricordo l’immagine fuori di quest’uomo con il cappello, il mantello e la sua sciarpona intorno, ci dava istruzioni su quello che dovevamo fare con il megafono. Ma la cosa pazzesca era il caldo torrido di quell’estate..

D. – Vivi a Milano? Ti piace? Che vita fai?

E. – Io vivo a Milano per scelta e per voglia. Sono un abitudinario. A me se mi vogliono rapire mi rapiscono senza problemi. faccio sempre la stessa strada. In moto non so se mi beccano, ma in macchina è possibile. Faccio sempre le stesse cose. Girando tanto il mondo, la mia voglia è di stare poi a casa. Suono, butto giù delle cose, sto con mia figlia… faccio una vita normalissima. Prima abitavo in campagna.

D. – Giri per le strade di Milano?

E. – Ogni tanto… Una volta non era possibile. Le ragazzine mi assalivano ed era angosciante. Oggi invece meno. Mi salutano… Mi piacerebbe andare a piedi ma a Milano non c’è mai abbastanza tempo… (pausa) …ma è strano che non m’hai chiesto niente di Berlusconi…

D. – Vuoi che metta in pausa il registratore?

E. – No, ma che personaggio! Mi sembra strano che debba andare a fare politica con tutto quello che ha. A parte la persona che è, sopra le righe, al di la dell’ideologia politica, io non farei un miliardesimo di quello che fa lui. Lui si butta dappertutto, si è fatto fotografare fra le macerie, tutti i giorni lì… Gli stranieri mi chiedono come facciamo a votarlo… Ma torniamo a noi che abbiamo ancora qualche minuto…

D. – Forse non era nelle tue intenzioni questa chiacchierata che ci ha portati fuori tema…

E. – No, anzi. E’ bello chiacchierare… domanda e risposta fanno cagare.

D. – Allora continuiamo così…

E. – Sono una persona normale, credimi. Non faccio la star. Io la notte vado a dormire con Eros, non con Eros Ramazzotti, e questo non è così facile da spiegare. La gente pensa che l’artista famoso sia il qualunquista della situazione oppure che abbia tante fisime e solo difetti. Io mi sento normale…

maggio 2009

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