A proposito di registi…
Esordisce con Bolognini, nel ’74, in Fatti di gente perbene. Nastro d’argento per Lontano da dove, di Stefania Casini e Francesca Marciano. Nel’ 1983, vince il David di Donatello nel ‘94 con Maniaci sentimentali di Simona Izzo ma quello che ci è rimasto nel cuore è Parenti serpenti del ’92 con la regia di Mario Monicelli.
Monica sprizza energia sul palcoscenico di Olio, una commedia fatta tutta di monologhi, scritta e diretta da Marco Calvani. Con lei recitano (molto bene) Mauro Marino e Michael Schermi. E’ un lavoro interessante che tratta l’eterno conflitto fra la ragione e la passione nella folle rincorsa a possedere qualcosa o qualcuno…
Ci concede un’intervista a due passi dal teatro, l’Out off, nel dehor di un bel bar di Milano, in una bella serata di ottobre.
Fuma, ordina un Campari soda, e si rilassa finalmente. Quando attacca a parlare ha la stessa forza che possiede sul palco, con la differenza che manifesta apertamente tutta la sua allegria e la voglia di ridere e di ridersi addosso. Al punto che ci chiediamo se quella commedia dai toni neri, in cui è stata comunque una straordinaria donna manager, le calzi a pennello oppure no. Perché per noi Monica Scattini è quella con i bigodini di Parenti serpenti, quella ostinata di Maniaci sentimentali, quella un po’ sfigata de La famiglia, e quella miope che rimane seduta tutto il tempo in Ballando ballando… E abbiamo citato soltanto quattro dei trentasette film al suo attivo. Ma lasciamola parlare. Alla fine ci rimprovererà per non averle fatto neanche bere il suo Campari, tante ne ha dette tutte di un fiato!
M. – Mi è dispiaciuto non vedere lo spettacolo di Ornella Vanoni, ieri sera, in piazza Duomo qui a Milano. Pare che ci fossero trentamila persone, e dicono che sia stata esagerata. Noi eravamo in scena… Che peccato, perché l’Ornella l’ammiro moltissimo, ha una voce straordinaria. Con le sue canzoni la gente si è innamorata, si è fidanzata, si è sposata, si è divorziata. Quanto mi piaceva quella canzone…
L. – L’appuntamento?
M. – No, quell’altra… oddio non mi viene…
L. – Domani è un altro giorno?
M. – Domani è un altro giorno, sì. Com’hai fatto a capire? Lì era pazzesca, coltellate al cuore. C’è una verità grande dentro questa canzone.
L. – Ci vuoi raccontare come nasce Monica Scattini attrice?
M. – Quando sono nata ho deciso di fare l’attrice. Mio papà, Luigi Scattini faceva il regista, lui ha fatto tanti documentari e io ho mangiato fin da piccolina pane e set. Già lì sognavo di fare l’attrice come Jane Mansfield. Un film papà lo fece con Buster Keaton, e io da piccolina ci giocavo durante le pause. Poi partecipai anch’io a un film, che si chiamava Blue Nude, nel ’77, l’ultima sua regia. Ma papà non voleva che io facessi l’attrice perché era un lavoro troppo duro, che ti può anche dare delle grandi delusioni. Allora mi mise a fare di tutto, dall’aiuto operatrice, all’aiuto regista, aiuto produzione, aiuto scenografa, nella speranza che io cambiassi idea. Invece io non l’ho mai cambiata. Con Blue Nude andai a New York come costumista, e mi fece fare una particina. Io mi innamorai della grande mela e decisi di rimanere là. A stare e a studiare. Io andai a fare la scuola da Lee Strasberg, all’Actor Studio e ci sono stata sette anni e uno a Los Angeles. Io ho sempre pensato che per fare questo mestiere bisogna studiare e prepararsi con delle basi sulle quali partire. Delle tecniche. Poi puoi scegliere l’accademia dove ti insegnano la voce di petto o di testa, oppure il metodo di Strasberg che si basa sulle emozioni.
L. – Parliamo dalla tivù che ti ha fatto conoscere al grande pubblico? La tivù delle ragazze, tu eri straordinaria negli Harrington.
M. – Come no. Ci siamo divertiti come pazzi.
L. – Perché non c’è più? Era così divertente.
M. – Non c’è più perché non s’è più fatta. Dopo hanno fatto Avanzi e altro. Invece nei primi due anni in cui ci sono stata si facevano meno imitazioni e più riferimenti come Monica Salottini, era la Carrà in salotto…
L. – La tua imitazione di Gabriella Ferri (del mestiere) era geniale, con i braccialetti che volavano mentre cantava.
M. – Quella me la inventai io. Era leggermente irriverente ma affettuosa. Io lei l’ho sempre adorata, cantante e donna straordinaria. Io la vedevo al Bagaglino, quando andavo a trovare Leo Gullotta che è amico mio. Certo la mia imitazione era un po’ crudele, ma era fatta con affetto. Lei vedendola si innervosì abbastanza, m’era arrivata voce che non le era piaciuta neanche un po’.
L. – Ti piace Pappi Corsicato?
M. – Moltissimo. Non ci ho mai lavorato e mi dispiace.
L. – Ma in quei film surreali serve poco saper recitare bene in teatro…
M. – Non sono d’accordo. Perché anche lì stai recitando una verità.
L. – Proprio Ornella Vanoni si lamentava con me del fatto che gli attori italiani sussurrano, invece di parlare.
M. – Ha ragione. Bisbigliano, non si capisce quello che dicono. Non curano la dizione e gli accenti. I dialetti sono importanti.
L. – Tu hai avuto un nonno pratese e sai fare benissimo sia la romana che la fiorentina!
M. – Non solo un nonno. Una mamma e una nonna di Firenze. Insomma il toscano mi viene naturale e a Roma ci vivo.
L. – Parliamo di Parenti Serpenti del ‘92?
M. – Certo, allora parliamo anche del regista, Mario Monicelli. E stata un’esperienza straordinaria. Io Monicelli l’avevo incontrato qualche volta, quando faceva i casting. Lui mi ha cercato per questo ruolo, per la sorella che non ha figli ed è disperata. Fuori dal set lui fa la battuta, si ride, ma quando ti dirige lui è tosto, e ti viene da tirare fuori il meglio. Tutti noi attori, quel film, lo abbiamo fatto come se facessimo una commedia in teatro. Tutti attori che venivano dal teatro, come Marina Gonfalone, Cinzia Leone, Allessandro Haber… Ci siamo trovati molto bene e abbiamo recitato tutta la prima parte, quella che si svolge in casa, in un teatro a Cinecittà. Poi due esterni a Sulmona con la neve finta e l’atmosfera natalizia Ci seguiva molto da vicino Carmine Amoroso che aveva scritto la sceneggiatura, lui è abruzzese. Ho dei ricordi bellissimi. Con Cinzia Leone è stato bello ritrovarsi dopo La tivù delle ragazze, perché c’eravamo perse di vista. Invece con Alessandro Haber ci ho lavorato per tanti anni. Marina Gonfalone, quella è un personaggio. Alla fine facemmo la scena della casa bruciata, un posto tremendo dove effettivamente c’era stato un incendio vero. Che poi questa scena non è stata messa nel film. In questo casolare distrutto ci morivamo dalle risate con Marina. Siccome per terra era tutto zozzo avevamo chiesto al costumista di metterci ai piedi, fino al ginocchio, delle buste di plastica. Ridevamo perché volevamo delle buste che ci slanciassero.
L. – Fu alla prima di Parenti serpenti che Cinzia Leone si sentì male per l’aneurisma cerebrale?
M. – No. Fu pochissimo tempo dopo, alla prima di Donne con le gonne, di Nuti. Grazie a Dio è andata bene. Io le sono stata molto vicina in quei brutti momenti.
L. – Siete amiche?
M. – Sì. Ci si vede poco perché siamo sempre in giro, ma quando ci vediamo ridiamo come le pazze.
L. – Ettore Scola. Un altro capitolo per te, anzi due.
M. – Sì. Ho fatto con lui Ballando Ballando nel 1983 e La famiglia nel 1987. Nel primo, meraviglioso, ho sofferto tantissimo. Lo abbiamo cominciato a Parigi. Si trattava di una commedia per la quale era impazzito e decise di farne un film. Aveva aggiunto il mio personaggio, la miope che sta seduta al tavolo e non balla mai e il cameriere che era Francesco De Rosa. Purtroppo poi Scola ha avuto un infarto, e allora il film è stato interrotto e siamo dovuti tornare a casa. Dopo circa un anno, lo abbiamo fatto. Non più a Parigi ma a Roma, a Cinecittà. Io, come ti dicevo, ho tanto sofferto perché dovevo fare la miope, e all’epoca ci vedevo benissimo. Mi impose occhiali con nove diottrie. Soffrivo, mi lacrimavano gli occhi. Riuscii a ottenere per i campi lunghi occhiali finti e veri solo per i primi piani. Era dura stare là tutto il tempo. La macchina da presa allora aveva un braccio lunghissimo e girava per la sala da ballo per cui tutti eravamo in scena tutto il tempo. Scola mi disse che Ugo Tognazzi, nei Mostri, aveva portato occhiali veri e non aveva mai protestato. Era faticoso, vedevo tutte ombre. Comunque all’epoca vivevo in America ed eravamo nominati all’Oscar. Io gli dissi, “Oh, guarda, Ettore, se non vieni ci vado io, non ti preoccupare”. E ci andò lui invece, ma vinse Bergman con Fanny e Alexander che barò perché lo presentò come suo ultimo film, invece dopo ne fece altri. Se no lo vincevamo noi. Poco mai sicuro.
L. – E La famiglia?
M. – Altro film straordinario. facevamo le tre ziette, io, Alessandra Panelli e Athina Cenci. Ci siamo divertite e abbiamo faticato. Perché con Scola si fatica parecchio.
L. – Un film bellissimo e triste.
M. – Sì, c’è quel corridoio… E’ triste il senso della vecchiaia, i due che stanno insieme tutta la vita, che si amano e litigano sempre. Comunque quella è la tipica famiglia italiana.
L. – Maniaci sentimentali, 1994. Altro film speciale Di Simona Izzo.
M. – Ci vinsi il David di Donatello! Il film nasce dall’amicizia con Simona, lei è brava e scrive molto bene. Il personaggio lo scrisse pensando a me. Ero stata già nominata un’altra volta al David di Donatello due anni prima per il film Un’altra vita di Carlo Mazzacurati. E non lo vinsi. Ho scoperto in quell’occasione che chi lo vince lo sa già, e chi non lo vince non lo sa. Quella volta io andai tutta bella impapuzzata felice contenta e nominata. Ed ero la sola a non sapere. Invece per Maniaci Sentimentali mi lasciarono detto che avevo vinto la sera prima, sulla segreteria telefonica, e mi rovinarono la sorpresa. Felice comunque.
L. – Li eri “accoppiata” con Alessandro Benvenuti. Un altro regista bravissimo.
M. – Piace molto anche a me. Non mi ha mai chiamato, per lavorare con lui, peccato! Con Simona e Ricky invece ci frequentiamo e c’è venuto in mente di fare Maniaci sentimentali vent’anni dopo, sarebbe bello. Che fine hanno fatto quei personaggi? Come sono adesso? Loro due saranno ancora insieme? Le gemelline sono cresciute… io a Simona gliel’ho suggerito, e l’idea le è piaciuta.
L. – Lezioni di cioccolato per la regia di Claudio Capellini, nel 2007.
M. – Mi è piaciuto ma mi sono tanto arrabbiata quando l’ho visto, perché hanno tagliato due scene mie alle quali tenevo molto e che erano le mie più belle di tutto il film. Insomma, un film grazioso, ma che non rivedo volentieri, ti dico la verità. So’ andata alla prima e il regista non mi aveva manco avvertita dei tagli. L’economia di una storia d’amore dove c’è un contorno di personaggi anche interessanti, un coro, non puoi buttarli dalla finestra. Il mio personaggio spiegava che era stata lasciata dal marito per una ragazza più giovane e che quindi era disperata. Poi finalmente le due donne che si parlano un momento, taglia pure quella! Un regista comunque deve avvertire. Carlo Mazzacurati in un altro film mi fece fare un cammeo, una chiromante, e sono andata a Livorno a fare questa scena carina. Lui mi ha telefonato e mi ha detto Monica, scusami ma il film era troppo lungo e mi hanno costretto a tagliare alcune scene, e una con dolore che è la tua. Però mi ha telefonato. Ci sono rimasta male, ma pazienza.
L. – Ho visto Lezioni di cioccolato e fai delle facce incredibili.
M. – Beh, insomma, quel poco che potevo fare…
L. – Un altro film, nel 2001, Come si fa un Martini?
M. – Ah, beh, del mio amico Kiko Stella, dove sono ospite qui adesso a Milano. Classico esempio di un bel film buttato dalla finestra, ahimé, perché è stato prodotto indipendentemente, non ha trovato la distribuzione. Abbiamo imparato anche questo, perché prima devi avere la distribuzione, poi fare il film. C’era un cast stellare Flavio Bucci, Ivano Marescotti, l’Adriana Asti, Antonio Catania, Giulio Brogi, Ennio Fantastichini, Elena Sofia Ricci, Sonia Bergamasco, insomma il film è uscito ad Agosto, sì, è stato un mese al Quattro fontane, ma insomma. Peccato, una bella idea, una bella avventura in questo ristorante dove ci sono tutte queste piccole vite, diverse da quelle de La cena di Scola. Entrambi i film sono stati fatti al ristorante nello stesso periodo, senza che gli addetti ai lavori sapessero l’uno dell’altro. Che dire comunque, che mi spiace che non l’ha visto nessuno, che avrebbe potuto andare ai festival. E allora vuoi che ti dica di un altro film che mi ha spezzato il cuore? Stessa storia. Scacco pazzo del 2003 di e con Alessandro Haber. Film veramente bbello, tratto da una commedia teatrale. Uno dei primi girato in Italia in digitale, nel 2000. Alessandro debuttava alla regia ed è stato molto bravo. Quando posso lo faccio vedere agli amici perché era un film bellissimo, la distribuzione, che c’era, è fallita sei giorni prima che il film uscisse. Un film di nicchia, ma che avrebbe avuto un proprio pubblico, prendi Le invasioni barbariche, se non avesse avuto il passaparola.
L. – Vivi a Roma?
M. – A Trastevere, proprio sopra La libreria del cinema. C’ho tutti la sotto, allora mi devo sempre mettere tutta caruccia quando porto la cagnolina, Baby Jane, a fare la pipì, perché incontro sempre qualcuno se esco dal portone e vado a destra. Un regista, uno sceneggiatore… Invece, se vado a sinistra, quatta quatta, riesco a non incontrare nessuno.
L. – Progetti cinematografici?
M. – Sto facendo un’opera prima che si chiama Aspettando Godard, di Alessandro Aronodio. Una sceneggiatura interessante, sui giovani, sulla precarietà. Io faccio la mamma del protagonista che è questo Lorenzo Calducci. A ottobre mi devo ritingere mora, perché non ero bionda quando ho girato la prima parte. E poi ho una bella notiziola, che ho fatto un provino per Nine, di Rob Marshall e mi hanno presa. E quindi vado a Londra a fare un piccolo ruolo, son quattro pose, ma che vuoi, devo recitare con Daniel Day-Lewiss, che facevo, dicevo di no? Ho fatto il provino due giorni dopo che mi ero operata all’omero. Morivo dal dolore ma l’ho voluto fare e il dolore ha vinto.
L. – Monica, tu cucini?
M. – Sì, adoro cucinare. Ma in realtà chi cucina a casa è mio marito (Er Patata). Oggi per esempio ho fatto un sughetto con i pomodori freschi, l’aglio e il basilico e siccome era un brunch perché alle due e mezzo dovevo essere a teatro, ci volevo mettere le uova, come si fa in toscana. Ma lui non ha voluto e allora ci siamo divisi il sugo. Lui ci ha messo gli spaghetti e io le uova.
Comunque in cucina sono esperta di zuppe e minestre. Riso e fagioli, oppure verdura avanzata. Uso il riso Basmati che mi piace da morire.
L. – Scorsese?
M. – Oddio, ci vorrebbe il tempo per tutta un’altra intervista. Veloce. Io stavo a New York, conoscevo Isabella Rossellini che era la moglie di Martin, e ci disse che lui voleva un gruppetto di italiani veri per fare una scena con De Niro. A me non mi sembrava vero. Uno degli attori era il mio ex marito che fa il pittore. Prima di cominciare sono andata a Central Park a piedi nudi, come A piedi nudi sul parco, e mi sono tagliata sotto a una pianta, un bello sgarro. Punti sul piede e così non potevo girare un bel niente. Arriva un’altra per sostituirmi. Rosa dalla rabbia, ma per fortuna la scena la rimandavano. Io, con le mie stampelle li andavo a trovare e quelli magnavano certi catering pazzeschi. Mi tolgono i punti dal piede, e quella che mi doveva sostituire a forza di mangiare s’è sentita male. Allora sono corsa a casa come una saetta, prendo un vestito di mia nonna degli anni ’40 perché il film era ambientato in quel periodo, mi presento e faccio “Beh, ci sono io”. Mi dicono Ok. Mi fanno salire e scendere trenta volte una scalinata per fare una scena che poi, alla fine venne tagliata. E io che l’avevo detto a tutti che avevo recitato con de Niro. Beh, non era destino. Intanto mi si era riaperta la ferita sul piede a forza di fare scalini. Comunque la foto, quella ce l’ho, con De Niro, che sto là!
L. – Sempre in America, nel 1982, Un sogno lungo un giorno.
M. – Ero andata a Los Angeles, per Strasberg. A una festa ho incontrato Francis Ford Coppola. Di notte mi fa vedere gli studios, oh, ma non è successo niente, eh, mi racconta che vuol fare un musical ambientato in una finta Las Vegas, e io non gli ho detto che facevo l’attrice. Mi sono poi presentata da lui dopo una settimana, nel frattempo avevo contato le ore, e gli ho detto, senti Francis, la verità è che faccio l’attrice, non c’è qualche cosina che posso fare? Lui mi ha mandato al reparto casting, ho fatto vari provini e mi hanno presa per fare il doppio dell’attore, io, Rebecca De Mornay e un paio di sfigati. Abbiamo fatto tutto il film come doppi, ma per fortuna mi hanno fatto anche fare una piccola parte, così mi si vede.
L. – Chi è per te una grande attrice comica in Italia?
M. – Franca Valeri. Ho avuto la fortuna di lavorare con lei che faceva la passeggera, io la Hostess in un programma con la Brigliadori. E’ straordinaria, molto intelligente, ironica e spiritosa. Un po’ tutte noi attrici comiche ci siamo in qualche modo ispirate a lei. Ama i cani come me, e quando muoiono li riprende uguali, della stessa razza, e li chiama sempre tutti con lo stesso nome. Roro primo, Roro secondo, Roro terzo. A una serata all’Eliseo, lavorando per Giuseppe Patroni Griffi. La prima notte bianca a Roma. Io feci da filo conduttore fra tutti quelli che presero parte come Franca Valeri, e altri attori e cantanti. Pino mi disse “Hai fatto schifo, era una cosa indegna”. Io mi misi a piangere e Franca fu molto carina. Chiese il mio numero di telefono, mi chiamò il giorno dopo e mi disse: Sei stata bravissima, non ti preoccupare. Lui fa sempre così quando vuole molto bene alle persone, e lo fa apposta. Viva Franca e mo’ basta co’’st’intervista. Damme tregua!