Orietta Berti

orietta


… quando mi voglio rilassare mi chiudo in sauna e ascolto Mina

Ci incontriamo con Orietta Berti. L’occasione è l’uscita del nuovo disco Swing, un omaggio alla mia maniera, dove la cantante si affida con sentimento all’orchestra di Sandro Comini. Una manciata di cover, 13 per l’esattezza, perle straordinarie, che hanno segnato la storia della musica italiana degli anni cinquanta e sessanta. Fra queste un paio di sorprese…

Se ciò non bastasse è uscito prima di Natale anche un cofanetto da non perdere, Gli anni Polydor 1963/1978 un esaustivo amarcord, composto da cinque CD che ripercorrono la lunga carriera di Orietta e aggiungono chicche e rarità…

La cantante, come sempre allegra e simpatica, sprizza entusiasmo come una debuttante mentre ci apre le porte della sua grande casa a Montecchio Emilia. Prima di metterci al lavoro, ha prenotato un tavolo al ristorante “La Grattugia” dove ci offre un pranzo strepitoso a base di cappelletti, tortelli di zucca, gnocchi di patate al pistacchio, tagliatelle di castagne ai porcini… poi un assaggio di crostate!

L – Un nuovo disco di cover, in prevalenza degli anni cinquanta e sessanta. Com’è nato questo disco che richiama le atmosfere fumose dei night club?

O – Il progetto è stato anche una terapia per il mio Osvaldo, che non potendomi più seguire nei concerti per i problemi agli occhi, era a casa da solo e si sentiva un po’ escluso. Era depresso, allora siamo andati dai nostri amici cari in America, Ezio e Sergio, che lo hanno coccolato e trattato come un re, ma quando siamo tornati la realtà era che lui ci vedeva sempre di meno. Non sopportava le luci, i rumori, i viaggi, allora gli ho detto, ma perché non cerchi qualche canzone o un genere che io possa fare anche perché non posso continuare a riproporre i miei successi in eterno, vorrei cantare qualcosa di nuovo. Allora mi ricordo che una sera gli telefonai da Bari, dove ero andata a fare un concerto, e lui mi disse “Orietta, hai finito il concerto?” Io dico “sì, sono già in albergo”. E lui, “vedi, io qui sto vedendo in tivù, guardalo anche tu, su Sky, un documentario in bianco e nero. Ci sono tutti questi cantanti che si esibiscono nei più grandi night del mondo, Bruno Martino, Fred Buongusto, Fred Buscaglione, Marino Marini”. Era pieno di entusiasmo, come un tempo. Appena tornata a casa ne ho parlato con Sandro Comini perché ci voleva un musicista jazz per vestirle da sera, queste canzoni.

L. – Perché ha pensato proprio a lui?

O. – Lo conoscevo perché ci avevo lavorato insieme a Buona Domenica per sedici puntate, dopo Ballando con le stelle e sette puntate l’anno dopo. Eravamo già affiatati e mi sembrava adatto. Lui ha risposto che lo avrebbe fatto volentieri, ci ha pensato un po’, lui non è veloce. Sono andata a casa sua a sentire gli arrangiamenti e ci cantavo sopra come se niente fosse! Come quando ti metti un paio di scarpe comode, no? Perché a volte ci sono degli arrangiamenti bellissimi che hanno degli accordi che magari tu fai fatica a esprimerti, magari esagerando con l’intonazione, invece con Comini tutto è stato facile. Io gli ho chiesto degli arrangiamenti alla Duke Ellington, anni trenta, quaranta, cinquanta. Insomma delle canzoni vestite da sera, da gran sera, perché adesso chi fa più un disco con una grande orchestra dal vivo? Non ti puoi permettere di spendere tutti quei soldi, perché dischi non ne vendi più. Comunque è fatta. E’ stato un buon impegno per Osvaldo, che è uscito fuori di casa… ed è stato lontano dall’ambiente medico. Abituato com’era una volta a seguirmi e a farmi da manager, l’inattività era troppo per lui. Lui coordinava sempre, “lì la mando, lì non la mando”. Adesso per esempio mi accompagna una manager durante i concerti , ma anch’io sono stata abituata ad andare con uno di famiglia, e adesso vado con estranei. Sono gentili, lo so, ma prima bastava una frase, tipo, “no, non cantare quella canzone, non ti mettere quella roba lì, non truccarti così”… io mi sentivo più sicura. Ho passato due anni senza i miei figli, uno all’estero e uno che è dottore in scienze delle comunicazioni. La copertina del nuovo disco me l’ha fatta proprio lui, Otis.

L. – Estate, Mambo italiano, Un anno d’amore, E la chiamano estate, More, Perfidia, Tu si nà cosa grande… un capolavoro dopo l’altro!

O.- Amore fermati, di Gorni Kramer è una canzone che amo e l’ho voluta mettere in apertura, come dire “Dai, fermati ad ascoltare”, e ovviamente la chiusura è toccata ad Arrivederci… del mio amico Giorgio (Calabrese).

L. – In questo nuovo lavoro troviamo anche due splendide perle contemporanee: Colpevole di Nicola Arigliano e Amami per sempre proposta a Sanremo 2006 da Amalia Grè. Complimenti! Ne ha fatto due interpretazioni molto convincenti.

O. – Grazie. Sono due canzoni nuove che si adattano alle atmosfere degli anni cinquanta e sessanta, perché secondo me sono state fatte col cuore. Comunque è stato mio figlio Otis a consigliarmi di inserire Colpevole che avevo cantato come omaggio a Nicola Arigliano quando era venuto ospite a Buona Domenica. Inoltre questa canzone mio figlio l’ha pure messa nel finale della sua tesi, perché lui ha fatto la sua tesi su di me. E proprio lui mi ha consigliato di inserirla nell’album perché sembra appartenere a quegli anni.

L. – Era stata proposta anche a Mina questa canzone.

O. – Sì, me l’ha detto Fasano.

L. – E a Platinette…

O. – Invece l’ha fatta Arigliano, benissimo. Lo potevano trattare anche un po’ meglio, a Sanremo. Lo avrebbe meritato. Sapete che lui viene in un locale a Reggio Emilia, che si chiama Fuori Orario, a fare Jazz ed è molto seguito dai giovani? E’ andato mio figlio  vederlo e ha detto che è simpaticissimo e non viene mai giù dal palco, pensa, a quell’età lì!

L. – Ma torniamo a lei, Orietta. Insieme a questo nuovo progetto musicale è uscito anche un impedibile cofanetto pieno zeppo di rarità! Ben 5 CD che comprendono gli anni della Polydor, 1963 / 1978.

- Ci sono dei provini che non mi ricordavo neanche di avere fatto, e poi mi sono riscoperta perché cantavo con tonalità altissime e non me ne ero accorta. Da dieci anni invece canto anche con i toni bassi, perché da quando ho fatto Il nostro concerto con Claudio Baglioni, ad Anima mia, lui mi ha detto “ma guarda che tu hai dei bassi bellissimi, perché non li sfrutti?” Invece in questi vecchi pezzi che ho riascoltato la voce andava su senza sforzo, e la musica là per aria… Un conto è quando masterizzano la voce e la tirano. Allora era tutto naturale. Comunque dentro ci sono tanti provini, e tanti non li abbiamo più trovati o mancavano i crediti. Alcuni nastri sono stati cancellati perché quando un pezzo non serviva ci sia andava sopra con un altro, per risparmiare. Infatti Il primo mattino del mondo, che aveva poi fatto la Milva non l’abbiamo più trovata. Di Grande grande grande abbiamo recuperato la lacca a un mercatino dell’usato, a Catania.

L. – Perché tutti questi provini?

O. – Nel 1963 ero alloggiata a Milano in un convento di suore, in via Benadir. Dovevo pagarmi il pensionato perché la Phonogram me ne pagava solo metà, allora io per lavoro cantavo tanti provini che poi i discografici usavano per farli ascoltare alle cantanti famose. Ho riscoperto canzoni che io avevo cantato anche in napoletano ‘na musica doce per esempio, ma non abbiamo trovato né gli autori né le edizioni. Sai quante altre ne ho cantate e sono andate perdute… Anzi, se trovate in giro delle lacche e vi sembra di ascoltare la mia voce… fatecele pervenire, a noi o a voi di Raro! Magari ci facciamo un altro disco! (scherza).

L. – Nel cofanetto c’è un disco intero di musica degli zingari datato 1976.

O. – Sì. Avevo cantato tre long playng di musica folk italiana dal settecento ai primi del novecento con un arrangiatore di famiglia nomade, un Rom. Lui mi ha portato tutte le musiche raccolte dalla sua razza, poi Beretta ha fatto la traduzione di ogni canzone. Per me è stato un ideale filo logico, perché quando ero piccola mia madre gestiva la Pesa pubblica di Cavriago. Lì vicino alla pesa c’era un grande piazzale ove tutti i camion potevano fare il giro, dovevano scaricare e caricare. Pesavano le mucche o i maiali o le forme di formaggio. D’inverno venivano a svernare gli zingari che allora non rubavano ma lavoravano, alcuni nelle stalle, e spesso venivano pagati con formaggi e latte, altri aggiustavano le pentole di rame, perché allora si cucinava tanta polenta. Mia nonna, Rosina, aveva una batteria di pentole di rame bellissima e sempre lustra, e tutti gliela ammiravano. Io non avevo paura degli zingari, anzi andavo a giocare con i loro bambini nelle loro carovane.

Tornando al disco che feci, fu una spesa per la casa discografica perché era un progetto difficile, non fruibile come quello del folklore italiano.

L. – Io vorrei invece tornare ancora più indietro nel tempo, dato che questo cofanetto ce lo consente. Canzonissima 1968, per esempio fu un ’68 da ricordare anche per i cantanti, perché annoverava vecchie glorie come Betty Curtis, Miranda Martino, Gloria Cristian, Jula De Palma, che furono spazzate via come “foglie morte”, per lasciare spazio a te, a Patty Pravo, a Gianni Morandi e a Massimo Ranieri. Inoltre, se non ricordo male, prima di quell’anno tutto era cantato in play-back. Fu Shirley Bassey a “rompere” cantando La vita dal vivo, e voi virtuosi come anche Mina, Patty, e non molti altri, accettaste la sfida e impugnaste il microfono, che poi era una giraffa.

O. – Il play-back era un’esigenza della Rai. L’orchestra dietro faceva solo le sigle e accompagnava gli ospiti. Dettero anche a noi quell’opportunità, di esibirci dal vivo, ma molti cantanti continuarono in play-back perché c’erano le votazioni in sala, e avevano paura che l’emozione potesse giocare brutti scherzi. Perché a quei tempi se venivi votato andavi avanti, altrimenti ti lasciavano a casa e uscivi dal giro.

L. – La mia amica Wilma De Angelis asserisce che proprio in quegli anni Mina sostituì Betty Curtis e lei, Orietta, sostituì la Wilma. E lo dice senza alcun rancore!

O. – E’ successo ma noi non ce ne siamo accorte che loro sono state messe da parte, perché si cominciava a settembre e si cercava di passare il primo turno. Poi c’erano le semifinali e le finali e se ci entravi facevi automaticamente tutti i passaggi in radio e in tivù. Se non ci entravi, in finale, non ti chiamava più nessuno! Lo stesso Sanremo. Se non entravi nella rosa dei finalisti, per due mesi e mezzo rimanevi a casa. C’erano solo tre canali televisivi e non c’era posto per tutti. Nessun giornalista ti faceva un articolo, a meno che la canzone eliminata non vendesse inaspettatamente tantissimo. Come Celentano con Il ragazzo della via Gluk, per esempio.

L. – Ricordo che Caterina Caselli, nell’edizione di Canzonissima ’68 entrò inaspettatamente in finale. Siccome tutti voi dovevate proporre un pezzo nuovo lei fu costretta a usare Il carnevale, che era stato preparato per Sanremo ’69. Allora, per il festival le misero insieme in fretta e in furia Il gioco dell’amore. Dunque non c’erano giochi di etichette discografiche e vittorie pilotate, allora…

O. – Sì. Sembrava.

L. – Ma la sua carriera, Orietta, era comunque cominciata con le canzoni di Suor Sorriso. Com’era arrivata a gareggiare con i cantanti in voga del momento?

O. – Avevo cantato Dominique e Alleluia di Suor Sorriso, in italiano, ma non volevo essere etichettata come una suorina. Nello stesso periodo mi proposero Tu sei quello per Un disco per l’estate. Che vinsi. Gianni Ravera allora mi ingaggiò nella sua agenzia. Nell’estate del ’65 non mi fece fare concerti perché non avevo repertorio, e mi mandò a Sanremo (’66) con Io ti darò di più. Da allora non mi sono più fermata!

L. – Io ti darò di più la cantò in coppia in coppia con Ornella Vanoni. Cosa ricorda di quell’esperienza?

O. – Lei non mi voleva, diceva che ero troppo colorata. Non voleva neanche fare le foto con me; mi ricordo che avevo un abitino giallo con qui davanti pietre dure e ricami, poi avevo i capelli rossi. Comunque la costrinse Ravera a cantare quel pezzo in coppia con me. Io non potevo cantare quella canzone come la faceva lei, donna fatta, sensuale. Intra mi consigliò di farla tutta un’ottava sopra. Altissima. E fu la mia fortuna perché evitai il confronto. Ah, l’Ornella! Prima non mi salutava mai, adesso mi saluta, ma continua a ripetermi che io e lei in coppia abbiamo cantato La musica è finita! E ho finito per darle ragione anche se non è vero.

Sempre a proposito di Canzonissime, mi ricordo che nell’edizione 1966 che si chiamava Scala Reale, io cantavo Tu sei quello, sfilando in passerella, la Sandie Shaw si esibiva vestita da Squaw davanti a un saloon, la Carmen Villani cantava appena scesa da una macchina sportiva…Sempre a Scala Reale mi misero insieme a tanti cagnolini dalmata che mi davano tante morsicatine e che dovevano rappresentare i 101 della carica sullo sfondo di una Disneyland ricostruita in studio. L’anno successivo, il 1967 invece lo vinse Dalida con Dan dan dan. Quell’edizione si chiamava Partitissima e io partecipai con Io tu e le rose.

L. – Andrebbe oggi a Sanremo?

O. – Non me la sentirei e ci vorrebbe un pezzo importante. Gli autori oramai le belle canzoni se le tengono. A me non dispiacerebbe neanche venire eliminata a patto che cantassi una bella canzone, e dove la trovi? Ci sarei andata con Amami per sempre, se mi fosse stata proposta.

L.- Qualche aneddoto divertente legato ai festival di Sanremo?

O. – C’era poco da ridere. Era il 1974 e avevo cantato Occhi rossi con l’influenza. Erano venuti su in camera da me Pace e Panzeri con un barattolo di caviale. Io non l’avevo neanche assaggiato perché avevo la gola che bruciava e quei lazzaroni, oltre ad averlo finito a cucchiaiate, lo misero in conto alla mia casa discografica che lo fece infine pagare a me.

Nel 1969 Pilat Panzeri e Pace volevano che portassi la loro Alla fine della strada a Sanremo, io invece preferivo Quando l’amore diventa poesia di Soffici Mogol e Alla fine della strada, che era più estiva, l’avrei portata volentieri a Un disco per l’estate, qualche mese più tardi. Loro si impuntarono e si arrabbiarono tantissimo del mio rifiuto. Alla fine della strada la dettero a Junior Magli che fu eliminato. Allora portarono il provino cantato da me in Inghilterra a Tom Jones perché era una canzone adatta alle sue corde. E non avrebbero potuto dato che i diritti di Alla fine della strada li aveva la Sugar. Comunque, quando loro andarono a portare la canzone a Tom Jones, si vestirono un po’ strani perché in Inghilterra erano tempi eccentrici. Pilat aveva una pelliccia di scimmia, Pace aveva un cappotto nero lungo fino ai piedi con un fazzoletto sul taschino che era poi il tovagliolo a quadri bianco e rosso di un ristorante, e un cappello enorme nero, Panzeri un trench alla Bogart, lungo fino al ginocchio, e un cappello marrone più grande di lui, ebbene, Tom Jones non li fece mica entrare! Il suo agente prese comunque il provino e dopo una settimana fece sapere che Tom Jones l’avrebbe cantata con il titolo Love me tonight. Poi io la cantai in una finale di Canzonissima 1971 e loro non volevano più che la facessi perché non la potevano più sentire!

L. – Era sempre d’accordo con gli autori a proposito dei testi?

O. – Avevo sempre da ridire con Panzeri. Nel testo di Non illuderti mai lui aveva messo tutti quei “mai mai mai mai mai” al posto di una frase più poetica di Pace. Io dissi no, io devo cantare troppi “mai” balbetto persino! E lui mi fa, “Beh, piccolina, ogni mai che togli sono cento mila copie in meno”. Avevano ragione loro che vendevano tantissimo con tanti cantanti. Poi siamo andati a Un disco per l’estate con L’altalena. Arrivai terza, mi pare. E loro si lamentarono che avevano in prenotazione solo mezzo milione di 45 giri. Pensa te, si lamentavano ed era invece una cifra altissima.

L. – Quanti dischi d’oro vinse?

O. – Con Finché la barca va che ha venduto tante copie anche per via delle compilation, ne presi due. Uno con Non illuderti mai e uno con Tu sei quello. Poi, se non ricordo male me ne dettero uno anche per Il tema di Lara. Comunque ci sono tante canzoni che non avrei voluto fare, ma non potevo dire di no ad autori che mi avevano regalato tanti successi! Quando mi hanno portato E lui pescava e La ballata del mondo io li volevo buttare fuori dalla finestra! Non le volevo fare, ma tutti erano contro di me. E mi ricattavano. Se non facevo quello che volevano mi si chiudevano altri passaggi. La ballata del mondo era ridicola… E lui pescava invece ha venduto un sacco ed è poi stata la prima canzone che mi hanno chiesto di fare in America.  Nientemeno. Io non l’avevo proprio montata in scaletta e l’ho dovuta fare in play-back perché la volevano a tutti i costi.

L. – Andò anche alla Gondola d’oro a Venezia?

O. – Sì, nel ’66. E vinsi la prima gondola. La canzone, Tu sei quello, l’avevo presentata l’hanno precedente, perché a Venezia venivano premiate le vendite di un anno. In quell’occasione proposi Quando la prima stella e Ritorna con il sole.

L. – E a proposito di grandi autori, Calabrese. Fu lui addirittura che la scoprì, ancora giovanissima, non è così?

O. – In un concorso di voci nuove, a Reggo Emilia, conobbi Giorgio Calabrese che era in giuria. In quel concorso cantavo Il cielo in una stanza, e già allora ero una fan di Mina.

L. – Quando ha deciso, Orietta, che avrebbe fatto la cantante?

O. – Mio padre mi spingeva sul palco. Se non fosse stato per lui non avrei neanche cominciato. Ero troppo timida per salire a esibirmi davanti alla gente. Poi mio papà morì e Calabrese, non avendomi più sentita mi chiamò nel posto pubblico perché io non avevo il telefono. Gli spiegai la ragione, e lui mi fece le condoglianze e mise giù. Poi mi scrisse una lettera dove diceva che dovevo andare a Milano a cantare. Fu lui a trovarmi il pensionato dalle suore vicino alla casa discografica

L . – Si prese cura di lei.

O. – Sì, con lui feci Io non ci sarò, Franchezza, e tanti altre canzoni. Fu Giorgio (Calabrese), molto premuroso, che mi portò alla Polydor perché la Karim fallì dato che non poteva permettersi la promozione. Eravamo io, De Andrè e Memo Remigi. Ricordo che mi portò in sede alla Polydor e dovetti cantare dei provini di fronte al maestro d’orchestra Gigi Cichellero. Il suo giudizio fu, “Voce bellissima, estensione molto ampia, rara per questi tempi” (perché tutte le cantanti italiane, anche la Gigliola Cinguetti, imitavano le francesi, come Françoise Hardy, e si esprimevano con un filo voce) però come figura dovrebbe dimagrire un po’. Già allora guardavano a quelle cose lì!

L. – A proposito della Cinguetti, le rubò Alle porte del sole, con la quale vinse Canzonissima 1973.

O. – Non fu lei a rubarmela. Sugar preferì Gigliola anche se Panzeri l’aveva data a me.  Io avevo fatto il provino, ma non lo abbiamo più trovato. Forse è rimasto alle Messaggerie. Comunque Gigliola la fece due toni sotto, e forse io l’avrei fatta bene ma non avrei vinto. Chi lo sa? Comunque lei ubbidì ai suoi superiori che gliela imposero. Ma sai, succedeva così. Per esempio Tu sei quello l’autore, Alberto Anelli, non me la voleva dare e la cantò lui. Furono i funzionari Rai, tra la mia versione e la sua a scegliere la mia.

L. – Grande grande grande, è vero Orietta che lei è stata la prima a cantarla?

O. – Me la fecero incidere per farne un provino. Mancava di una strofa, quella che dice: “ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno…” Avrei dovuto portarla in finale a Canzonissima, invece la cantò la Mina e Osvaldo ci rimase male. Anche Tony Renis ci telefonò e si dispiacque perché gli sembrava la diretta continuazione di Tu sei quello.

L. – Anche Quando quando quando doveva essere per Wilma De Angelis, invece le imposero Patatina e lei ancora si morde le mani…

O. – In quegli anni c’erano tanti inghippi, e per fortuna di canzoni belle ce n’erano tante e non si faceva mai brutta figura. Le vendite poi lo confermavano. Prendi Canzonissima, per esempio: io non ho mai avuto voti in sala, e un voto erano 1000 cartoline. La gente, votando da casa, mi faceva arrivare la prima delle donne in gara, sempre. Ho anche pensato che fosse un incentivo per fare votare la gente, perché per le strade intervistavano tante persone arrabbiate del fatto che ero stata snobbata in sala. Per non parlare di quell’anno che hanno trovato tutti quei sacchi di cartoline fuori dai treni, mai arrivati a Torino.

L. – Non avveniva tutto alla luce del sole?

O. – Non sempre. Ricordo quella volta in cui avevano detto a Patty Pravo di scegliere la pallina con la riga verde e lei si è dimenticata e non l’ha mica presa: così è stata abbinata a Tony Del Monaco. In quella pallina con la riga verde che era rimasta ultima e che è toccata a me c’era scritto Massimo Ranieri, e con lui la vittoria era sicura!

L. – E le altre colleghe? Quali sono le sue preferite?

O. – Mina. Io la stimo tantissimo, per me è la più brava in assoluto, però lei è stata anche tanto fortunata, perché gli autori, i più grandi, le hanno portato veramente tutte le più belle canzoni. Noi avevamo gli scarti. E in più lei rifaceva tutte le più belle canzoni che uscivano da Sanremo. Era l’unica che poteva permetterselo. Ha lavorato all’americana ed è stata un genio. Noi altri cantanti non potevamo fare le canzoni degli altri, la casa discografica non voleva. In un LP magari la potevi inserire, ma dovevi comunque cantare canzoni nuove, inedite.

L. – Ho letto da qualche parte che lei conserva dentro agli scatoloni in soffitta tutti i suoi abiti di scena.

O. – Sono legati ai miei ricordi. Per esempio, quello azzurro della copertina di L’altalena io dovevo indossarlo a Canzonissima ’68, ma la Carmen Villani ne aveva uno identico, allora lo fecero cambiare a me che ne avevo uno di riserva. Ne avevo anche uno arancione pesante che sembra un’armatura e che volevo mettere a Canzonissima ‘70. Telefonò Pace e volle sapere com’ero vestita. Gli dissi “sembro una regina” e lui rispose “toglilo subito e non ne parliamo più”. Non me lo fece indossare e preferì che tenessi quello semplice che avevo messo in viaggio, con le farfalle.

L. – Ricorda tutte le cose che ha fatto?

O. – Io non ricordavo che con Ritorna con il sole avevo vinto il festival di Lugano. L’arrangiamento, di Intra, l’ho riascoltato, era moderno e lo è ancora oggi. Proprio l’altro giorno ero a Lugano, al Casinò, su quel palco e quando mi hanno ricordato quella vittoria ho avuto un vuoto. Possibile? Mi hanno detto che mi hanno dato un premio, ma dove l’avrò messo? Poi nel mio sito c’è scritto che ho vinto la prima edizione del Festival delle rose con Voglio dirti grazie, una bella canzone difficilissima da cantare, l’ho riascoltata, e sono note tremende, si spaccava la voce, ecco perché non l’ho mai rifatta nei miei concerti! E pensa che quell’anno arrivò seconda E la chiamano estate di Bruno Martino. Ho detto bah, la gente non capiva niente allora! Quella di Bruno è un capolavoro.

L. – Forse è più bella cantata da una donna. Anche Mina l’ha rifatta nell’album Catene.

O. – Oh, la Mina… Quando ritorno dai miei concerti o dalle serate televisive lavo la mia roba, lavo persino le scarpe, e faccio la sauna ascoltando le sue canzoni. Quelle napoletane, per esempio, lei le rallenta e le trovo così meravigliose e rilassanti!

L. – Quale brano è stato più difficile da incidere durante tutta la sua carriera?

O. – Nessuno, perché prima di registrare studio molto bene. Ho difficoltà con le canzoni che non mi piacciono.

L. – Tipo?

O. – E lui pescava o La ballata del mondo.

L. – Secondo lei Sanremo ha un effetto Jalisse?

O. – Sì. Io per esempio non mi ricordo le canzoni che hanno vinto negli ultimi cinque o sei anni. E sono un’addetta ai lavori. Io il Festival non me lo perdo mai…metti che mi piaccia una canzone, la incido anch’io, come ho fatto con Amami per sempre.

L. – Con chi inciderebbe un duetto?

O. – Con chiunque, se la canzone fosse bella. Certo, un sogno che non si avvererà mai… credo che oramai l’avrete capito, é Mina. Oppure Celentano non mi dispiacerebbe.

L. – Le è mai presa la voglia di scriversi un testo e cantarselo?

O. – No. Lascio queste cose agli addetti ai lavori.

L. – Le piaceva il beat anni sessanta?

O. – Sì, molto. Me lo faceva ascoltare Osvaldo, in macchina, quando andavamo in giro in macchina per le serate. Passavamo ore e ore in viaggio, da Trieste in giù e mi propinava tutti i generi possibili. Oggi, mentre io sono al piano di sotto e magari stiro, i miei ragazzi fanno la sauna o la doccia e mi fanno ascoltare musica contemporanea, soprattutto rock.

L. – E non le viene la voglia di farsi accompagnare da un gruppo di giovanissimi che sperimentano?

O. – Non ci ho pensato, ma credo che potrei farlo, se il pezzo fosse interessante.

L. – E i cantautori italiani?

O. – Jannacci mi diverte molto, amo le canzoni d’amore di Gaber, e quelle di Fabrizio De Andrè che conobbi alle prime armi così mi affezionai molto a lui.

L. – Lei colleziona i dischi che ha fatto?

O. – Sì, ma mia mamma era di una generosità mai vista, e regalava i miei vinili quando non ero a casa, così la collezione non ce l’ho più. Per fortuna ho tanti amici che vanno ai mercatini e mi stanno aiutando a rifarmela.

L. – Com’era bella la tivù anni 60-70-80! Lei è d’accordo?

O. – Sì. Allora si facevano le cose con calma. Oggi vai, ti prepari a rispondere a tutte le domande del mondo e loro hanno fretta e ti sfumano.

L. – E’ in partenza per l’America, poi canterà in Canada, a Toronto, ma il primo maggio cominceranno i concerti in Italia….

O. – Sì, faremo tappa dai nostri amici.  Mio marito ed io amiamo Los Angeles. E ho preso l’abitudine di portare fiori sulla tomba di Marylin (Monroe) che per me è stata la più grande di tutte. Nessuno glieli porta mai durante l’anno, poverina, a parte per l’anniversario della morte, e l’ultima volta le ho preso delle meravigliose rose viola. Poi andremo a trovare la Esther Williams che è molto gentile e carina e mi regala sempre cuffie da bagno.

L. – Andrebbe all’isola dei famosi, se la invitassero?

O. – No. Non faccio vedere la mia pancia a nessuno!

Siamo ai saluti, ma prima di lasciarci ci buttiamo sul vassoio dei pasticcini che avevamo portato per festeggiare il nuovo disco. Orietta confessa che in tanti anni di interviste è la prima volta che un giornalista le offre dei pasticcini.

Poi non resiste e ci accompagna per tutta la casa e ci mostra con orgoglio le sue collezioni, quelle dei puffi, delle acquasantiere, delle bambole, delle porcellane, delle testine Lenci. Su in mansarda, fra centinaia e centinaia di abiti, (Osvaldo dice che prima o poi crollerà il solaio) accarezza le paillettes del più bello fra tutti, quello a strisce bianche gialle e nere della Mila Shon indossato per cantare Quando l’amore diventa poesia in quell’indimenticabile Sanremo 1969. Un pezzo di storia della musica pop italiana!

Per finire in bellezza, anzi in carboidrati, ci offre una confezione di biscotti di pasta frolla fatti da lei, buonissimi, che riserva a Natale agli amici. Ci sono su le sue foto, fra decorazioni e alberi di Natale. E’ un peccato aprire la confezione e mangiarli, perché sarebbero proprio da collezionare…

Dal primo Maggio Orietta sarà in tournée. Le date si trovano nel suo sito, www.oriettaberti.it

Grazie a Giampaolo Guerra per la gentile e preziosa collaborazione.

Ci incontriamo con Orietta Berti. L’occasione è l’uscita del nuovo disco Swing, un omaggio alla mia maniera, dove la cantante si affida con sentimento all’orchestra di Sandro Comini. Una manciata di cover, 13 per l’esattezza, perle straordinarie, che hanno segnato la storia della musica italiana degli anni cinquanta e sessanta. Fra queste un paio di sorprese…

Se ciò non bastasse è uscito prima di Natale anche un cofanetto da non perdere, Gli anni Polydor 1963/1978 un esaustivo amarcord, composto da cinque CD che ripercorrono la lunga carriera di Orietta e aggiungono chicche e rarità…

La cantante, come sempre allegra e simpatica, sprizza entusiasmo come una debuttante mentre ci apre le porte della sua grande casa a Montecchio Emilia. Prima di metterci al lavoro, ha prenotato un tavolo al ristorante “La Grattugia” dove ci offre un pranzo strepitoso a base di cappelletti, tortelli di zucca, gnocchi di patate al pistacchio, tagliatelle di castagne ai porcini… poi un assaggio di crostate!

L – Un nuovo disco di cover, in prevalenza degli anni cinquanta e sessanta. Com’è nato questo disco che richiama le atmosfere fumose dei night club?

O – Il progetto è stato anche una terapia per il mio Osvaldo, che non potendomi più seguire nei concerti per i problemi agli occhi, era a casa da solo e si sentiva un po’ escluso. Era depresso, allora siamo andati dai nostri amici cari in America, Ezio e Sergio, che lo hanno coccolato e trattato come un re, ma quando siamo tornati la realtà era che lui ci vedeva sempre di meno. Non sopportava le luci, i rumori, i viaggi, allora gli ho detto, ma perché non cerchi qualche canzone o un genere che io possa fare anche perché non posso continuare a riproporre i miei successi in eterno, vorrei cantare qualcosa di nuovo. Allora mi ricordo che una sera gli telefonai da Bari, dove ero andata a fare un concerto, e lui mi disse “Orietta, hai finito il concerto?” Io dico “sì, sono già in albergo”. E lui, “vedi, io qui sto vedendo in tivù, guardalo anche tu, su Sky, un documentario in bianco e nero. Ci sono tutti questi cantanti che si esibiscono nei più grandi night del mondo, Bruno Martino, Fred Buongusto, Fred Buscaglione, Marino Marini”. Era pieno di entusiasmo, come un tempo. Appena tornata a casa ne ho parlato con Sandro Comini perché ci voleva un musicista jazz per vestirle da sera, queste canzoni.

L. – Perché ha pensato proprio a lui?

O. – Lo conoscevo perché ci avevo lavorato insieme a Buona Domenica per sedici puntate, dopo Ballando con le stelle e sette puntate l’anno dopo. Eravamo già affiatati e mi sembrava adatto. Lui ha risposto che lo avrebbe fatto volentieri, ci ha pensato un po’, lui non è veloce. Sono andata a casa sua a sentire gli arrangiamenti e ci cantavo sopra come se niente fosse! Come quando ti metti un paio di scarpe comode, no? Perché a volte ci sono degli arrangiamenti bellissimi che hanno degli accordi che magari tu fai fatica a esprimerti, magari esagerando con l’intonazione, invece con Comini tutto è stato facile. Io gli ho chiesto degli arrangiamenti alla Duke Ellington, anni trenta, quaranta, cinquanta. Insomma delle canzoni vestite da sera, da gran sera, perché adesso chi fa più un disco con una grande orchestra dal vivo? Non ti puoi permettere di spendere tutti quei soldi, perché dischi non ne vendi più. Comunque è fatta. E’ stato un buon impegno per Osvaldo, che è uscito fuori di casa… ed è stato lontano dall’ambiente medico. Abituato com’era una volta a seguirmi e a farmi da manager, l’inattività era troppo per lui. Lui coordinava sempre, “lì la mando, lì non la mando”. Adesso per esempio mi accompagna una manager durante i concerti , ma anch’io sono stata abituata ad andare con uno di famiglia, e adesso vado con estranei. Sono gentili, lo so, ma prima bastava una frase, tipo, “no, non cantare quella canzone, non ti mettere quella roba lì, non truccarti così”… io mi sentivo più sicura. Ho passato due anni senza i miei figli, uno all’estero e uno che è dottore in scienze delle comunicazioni. La copertina del nuovo disco me l’ha fatta proprio lui, Otis.

L. – Estate, Mambo italiano, Un anno d’amore, E la chiamano estate, More, Perfidia, Tu si nà cosa grande… un capolavoro dopo l’altro!

O.- Amore fermati, di Gorni Kramer è una canzone che amo e l’ho voluta mettere in apertura, come dire “Dai, fermati ad ascoltare”, e ovviamente la chiusura è toccata ad Arrivederci… del mio amico Giorgio (Calabrese).

L. – In questo nuovo lavoro troviamo anche due splendide perle contemporanee: Colpevole di Nicola Arigliano e Amami per sempre proposta a Sanremo 2006 da Amalia Grè. Complimenti! Ne ha fatto due interpretazioni molto convincenti.

O. – Grazie. Sono due canzoni nuove che si adattano alle atmosfere degli anni cinquanta e sessanta, perché secondo me sono state fatte col cuore. Comunque è stato mio figlio Otis a consigliarmi di inserire Colpevole che avevo cantato come omaggio a Nicola Arigliano quando era venuto ospite a Buona Domenica. Inoltre questa canzone mio figlio l’ha pure messa nel finale della sua tesi, perché lui ha fatto la sua tesi su di me. E proprio lui mi ha consigliato di inserirla nell’album perché sembra appartenere a quegli anni.

L. – Era stata proposta anche a Mina questa canzone.

O. – Sì, me l’ha detto Fasano.

L. – E a Platinette…

O. – Invece l’ha fatta Arigliano, benissimo. Lo potevano trattare anche un po’ meglio, a Sanremo. Lo avrebbe meritato. Sapete che lui viene in un locale a Reggio Emilia, che si chiama Fuori Orario, a fare Jazz ed è molto seguito dai giovani? E’ andato mio figlio  vederlo e ha detto che è simpaticissimo e non viene mai giù dal palco, pensa, a quell’età lì!

L. – Ma torniamo a lei, Orietta. Insieme a questo nuovo progetto musicale è uscito anche un impedibile cofanetto pieno zeppo di rarità! Ben 5 CD che comprendono gli anni della Polydor, 1963 / 1978.

- Ci sono dei provini che non mi ricordavo neanche di avere fatto, e poi mi sono riscoperta perché cantavo con tonalità altissime e non me ne ero accorta. Da dieci anni invece canto anche con i toni bassi, perché da quando ho fatto Il nostro concerto con Claudio Baglioni, ad Anima mia, lui mi ha detto “ma guarda che tu hai dei bassi bellissimi, perché non li sfrutti?” Invece in questi vecchi pezzi che ho riascoltato la voce andava su senza sforzo, e la musica là per aria… Un conto è quando masterizzano la voce e la tirano. Allora era tutto naturale. Comunque dentro ci sono tanti provini, e tanti non li abbiamo più trovati o mancavano i crediti. Alcuni nastri sono stati cancellati perché quando un pezzo non serviva ci sia andava sopra con un altro, per risparmiare. Infatti Il primo mattino del mondo, che aveva poi fatto la Milva non l’abbiamo più trovata. Di Grande grande grande abbiamo recuperato la lacca a un mercatino dell’usato, a Catania.

L. – Perché tutti questi provini?

O. – Nel 1963 ero alloggiata a Milano in un convento di suore, in via Benadir. Dovevo pagarmi il pensionato perché la Phonogram me ne pagava solo metà, allora io per lavoro cantavo tanti provini che poi i discografici usavano per farli ascoltare alle cantanti famose. Ho riscoperto canzoni che io avevo cantato anche in napoletano ‘na musica doce per esempio, ma non abbiamo trovato né gli autori né le edizioni. Sai quante altre ne ho cantate e sono andate perdute… Anzi, se trovate in giro delle lacche e vi sembra di ascoltare la mia voce… fatecele pervenire, a noi o a voi di Raro! Magari ci facciamo un altro disco! (scherza).

L. – Nel cofanetto c’è un disco intero di musica degli zingari datato 1976.

O. – Sì. Avevo cantato tre long playng di musica folk italiana dal settecento ai primi del novecento con un arrangiatore di famiglia nomade, un Rom. Lui mi ha portato tutte le musiche raccolte dalla sua razza, poi Beretta ha fatto la traduzione di ogni canzone. Per me è stato un ideale filo logico, perché quando ero piccola mia madre gestiva la Pesa pubblica di Cavriago. Lì vicino alla pesa c’era un grande piazzale ove tutti i camion potevano fare il giro, dovevano scaricare e caricare. Pesavano le mucche o i maiali o le forme di formaggio. D’inverno venivano a svernare gli zingari che allora non rubavano ma lavoravano, alcuni nelle stalle, e spesso venivano pagati con formaggi e latte, altri aggiustavano le pentole di rame, perché allora si cucinava tanta polenta. Mia nonna, Rosina, aveva una batteria di pentole di rame bellissima e sempre lustra, e tutti gliela ammiravano. Io non avevo paura degli zingari, anzi andavo a giocare con i loro bambini nelle loro carovane.

Tornando al disco che feci, fu una spesa per la casa discografica perché era un progetto difficile, non fruibile come quello del folklore italiano.

L. – Io vorrei invece tornare ancora più indietro nel tempo, dato che questo cofanetto ce lo consente. Canzonissima 1968, per esempio fu un ’68 da ricordare anche per i cantanti, perché annoverava vecchie glorie come Betty Curtis, Miranda Martino, Gloria Cristian, Jula De Palma, che furono spazzate via come “foglie morte”, per lasciare spazio a te, a Patty Pravo, a Gianni Morandi e a Massimo Ranieri. Inoltre, se non ricordo male, prima di quell’anno tutto era cantato in play-back. Fu Shirley Bassey a “rompere” cantando La vita dal vivo, e voi virtuosi come anche Mina, Patty, e non molti altri, accettaste la sfida e impugnaste il microfono, che poi era una giraffa.

O. – Il play-back era un’esigenza della Rai. L’orchestra dietro faceva solo le sigle e accompagnava gli ospiti. Dettero anche a noi quell’opportunità, di esibirci dal vivo, ma molti cantanti continuarono in play-back perché c’erano le votazioni in sala, e avevano paura che l’emozione potesse giocare brutti scherzi. Perché a quei tempi se venivi votato andavi avanti, altrimenti ti lasciavano a casa e uscivi dal giro.

L. – La mia amica Wilma De Angelis asserisce che proprio in quegli anni Mina sostituì Betty Curtis e lei, Orietta, sostituì la Wilma. E lo dice senza alcun rancore!

O. – E’ successo ma noi non ce ne siamo accorte che loro sono state messe da parte, perché si cominciava a settembre e si cercava di passare il primo turno. Poi c’erano le semifinali e le finali e se ci entravi facevi automaticamente tutti i passaggi in radio e in tivù. Se non ci entravi, in finale, non ti chiamava più nessuno! Lo stesso Sanremo. Se non entravi nella rosa dei finalisti, per due mesi e mezzo rimanevi a casa. C’erano solo tre canali televisivi e non c’era posto per tutti. Nessun giornalista ti faceva un articolo, a meno che la canzone eliminata non vendesse inaspettatamente tantissimo. Come Celentano con Il ragazzo della via Gluk, per esempio.

L. – Ricordo che Caterina Caselli, nell’edizione di Canzonissima ’68 entrò inaspettatamente in finale. Siccome tutti voi dovevate proporre un pezzo nuovo lei fu costretta a usare Il carnevale, che era stato preparato per Sanremo ’69. Allora, per il festival le misero insieme in fretta e in furia Il gioco dell’amore. Dunque non c’erano giochi di etichette discografiche e vittorie pilotate, allora…

O. – Sì. Sembrava.

L. – Ma la sua carriera, Orietta, era comunque cominciata con le canzoni di Suor Sorriso. Com’era arrivata a gareggiare con i cantanti in voga del momento?

O. – Avevo cantato Dominique e Alleluia di Suor Sorriso, in italiano, ma non volevo essere etichettata come una suorina. Nello stesso periodo mi proposero Tu sei quello per Un disco per l’estate. Che vinsi. Gianni Ravera allora mi ingaggiò nella sua agenzia. Nell’estate del ’65 non mi fece fare concerti perché non avevo repertorio, e mi mandò a Sanremo (’66) con Io ti darò di più. Da allora non mi sono più fermata!

L. – Io ti darò di più la cantò in coppia in coppia con Ornella Vanoni. Cosa ricorda di quell’esperienza?

O. – Lei non mi voleva, diceva che ero troppo colorata. Non voleva neanche fare le foto con me; mi ricordo che avevo un abitino giallo con qui davanti pietre dure e ricami, poi avevo i capelli rossi. Comunque la costrinse Ravera a cantare quel pezzo in coppia con me. Io non potevo cantare quella canzone come la faceva lei, donna fatta, sensuale. Intra mi consigliò di farla tutta un’ottava sopra. Altissima. E fu la mia fortuna perché evitai il confronto. Ah, l’Ornella! Prima non mi salutava mai, adesso mi saluta, ma continua a ripetermi che io e lei in coppia abbiamo cantato La musica è finita! E ho finito per darle ragione anche se non è vero.

Sempre a proposito di Canzonissime, mi ricordo che nell’edizione 1966 che si chiamava Scala Reale, io cantavo Tu sei quello, sfilando in passerella, la Sandie Shaw si esibiva vestita da Squaw davanti a un saloon, la Carmen Villani cantava appena scesa da una macchina sportiva…Sempre a Scala Reale mi misero insieme a tanti cagnolini dalmata che mi davano tante morsicatine e che dovevano rappresentare i 101 della carica sullo sfondo di una Disneyland ricostruita in studio. L’anno successivo, il 1967 invece lo vinse Dalida con Dan dan dan. Quell’edizione si chiamava Partitissima e io partecipai con Io tu e le rose.

L. – Andrebbe oggi a Sanremo?

O. – Non me la sentirei e ci vorrebbe un pezzo importante. Gli autori oramai le belle canzoni se le tengono. A me non dispiacerebbe neanche venire eliminata a patto che cantassi una bella canzone, e dove la trovi? Ci sarei andata con Amami per sempre, se mi fosse stata proposta.

L.- Qualche aneddoto divertente legato ai festival di Sanremo?

O. – C’era poco da ridere. Era il 1974 e avevo cantato Occhi rossi con l’influenza. Erano venuti su in camera da me Pace e Panzeri con un barattolo di caviale. Io non l’avevo neanche assaggiato perché avevo la gola che bruciava e quei lazzaroni, oltre ad averlo finito a cucchiaiate, lo misero in conto alla mia casa discografica che lo fece infine pagare a me.

Nel 1969 Pilat Panzeri e Pace volevano che portassi la loro Alla fine della strada a Sanremo, io invece preferivo Quando l’amore diventa poesia di Soffici Mogol e Alla fine della strada, che era più estiva, l’avrei portata volentieri a Un disco per l’estate, qualche mese più tardi. Loro si impuntarono e si arrabbiarono tantissimo del mio rifiuto. Alla fine della strada la dettero a Junior Magli che fu eliminato. Allora portarono il provino cantato da me in Inghilterra a Tom Jones perché era una canzone adatta alle sue corde. E non avrebbero potuto dato che i diritti di Alla fine della strada li aveva la Sugar. Comunque, quando loro andarono a portare la canzone a Tom Jones, si vestirono un po’ strani perché in Inghilterra erano tempi eccentrici. Pilat aveva una pelliccia di scimmia, Pace aveva un cappotto nero lungo fino ai piedi con un fazzoletto sul taschino che era poi il tovagliolo a quadri bianco e rosso di un ristorante, e un cappello enorme nero, Panzeri un trench alla Bogart, lungo fino al ginocchio, e un cappello marrone più grande di lui, ebbene, Tom Jones non li fece mica entrare! Il suo agente prese comunque il provino e dopo una settimana fece sapere che Tom Jones l’avrebbe cantata con il titolo Love me tonight. Poi io la cantai in una finale di Canzonissima 1971 e loro non volevano più che la facessi perché non la potevano più sentire!

L. – Era sempre d’accordo con gli autori a proposito dei testi?

O. – Avevo sempre da ridire con Panzeri. Nel testo di Non illuderti mai lui aveva messo tutti quei “mai mai mai mai mai” al posto di una frase più poetica di Pace. Io dissi no, io devo cantare troppi “mai” balbetto persino! E lui mi fa, “Beh, piccolina, ogni mai che togli sono cento mila copie in meno”. Avevano ragione loro che vendevano tantissimo con tanti cantanti. Poi siamo andati a Un disco per l’estate con L’altalena. Arrivai terza, mi pare. E loro si lamentarono che avevano in prenotazione solo mezzo milione di 45 giri. Pensa te, si lamentavano ed era invece una cifra altissima.

L. – Quanti dischi d’oro vinse?

O. – Con Finché la barca va che ha venduto tante copie anche per via delle compilation, ne presi due. Uno con Non illuderti mai e uno con Tu sei quello. Poi, se non ricordo male me ne dettero uno anche per Il tema di Lara. Comunque ci sono tante canzoni che non avrei voluto fare, ma non potevo dire di no ad autori che mi avevano regalato tanti successi! Quando mi hanno portato E lui pescava e La ballata del mondo io li volevo buttare fuori dalla finestra! Non le volevo fare, ma tutti erano contro di me. E mi ricattavano. Se non facevo quello che volevano mi si chiudevano altri passaggi. La ballata del mondo era ridicola… E lui pescava invece ha venduto un sacco ed è poi stata la prima canzone che mi hanno chiesto di fare in America.  Nientemeno. Io non l’avevo proprio montata in scaletta e l’ho dovuta fare in play-back perché la volevano a tutti i costi.

L. – Andò anche alla Gondola d’oro a Venezia?

O. – Sì, nel ’66. E vinsi la prima gondola. La canzone, Tu sei quello, l’avevo presentata l’hanno precedente, perché a Venezia venivano premiate le vendite di un anno. In quell’occasione proposi Quando la prima stella e Ritorna con il sole.

L. – E a proposito di grandi autori, Calabrese. Fu lui addirittura che la scoprì, ancora giovanissima, non è così?

O. – In un concorso di voci nuove, a Reggo Emilia, conobbi Giorgio Calabrese che era in giuria. In quel concorso cantavo Il cielo in una stanza, e già allora ero una fan di Mina.

L. – Quando ha deciso, Orietta, che avrebbe fatto la cantante?

O. – Mio padre mi spingeva sul palco. Se non fosse stato per lui non avrei neanche cominciato. Ero troppo timida per salire a esibirmi davanti alla gente. Poi mio papà morì e Calabrese, non avendomi più sentita mi chiamò nel posto pubblico perché io non avevo il telefono. Gli spiegai la ragione, e lui mi fece le condoglianze e mise giù. Poi mi scrisse una lettera dove diceva che dovevo andare a Milano a cantare. Fu lui a trovarmi il pensionato dalle suore vicino alla casa discografica

L . – Si prese cura di lei.

O. – Sì, con lui feci Io non ci sarò, Franchezza, e tanti altre canzoni. Fu Giorgio (Calabrese), molto premuroso, che mi portò alla Polydor perché la Karim fallì dato che non poteva permettersi la promozione. Eravamo io, De Andrè e Memo Remigi. Ricordo che mi portò in sede alla Polydor e dovetti cantare dei provini di fronte al maestro d’orchestra Gigi Cichellero. Il suo giudizio fu, “Voce bellissima, estensione molto ampia, rara per questi tempi” (perché tutte le cantanti italiane, anche la Gigliola Cinguetti, imitavano le francesi, come Françoise Hardy, e si esprimevano con un filo voce) però come figura dovrebbe dimagrire un po’. Già allora guardavano a quelle cose lì!

L. – A proposito della Cinguetti, le rubò Alle porte del sole, con la quale vinse Canzonissima 1973.

O. – Non fu lei a rubarmela. Sugar preferì Gigliola anche se Panzeri l’aveva data a me.  Io avevo fatto il provino, ma non lo abbiamo più trovato. Forse è rimasto alle Messaggerie. Comunque Gigliola la fece due toni sotto, e forse io l’avrei fatta bene ma non avrei vinto. Chi lo sa? Comunque lei ubbidì ai suoi superiori che gliela imposero. Ma sai, succedeva così. Per esempio Tu sei quello l’autore, Alberto Anelli, non me la voleva dare e la cantò lui. Furono i funzionari Rai, tra la mia versione e la sua a scegliere la mia.

L. – Grande grande grande, è vero Orietta che lei è stata la prima a cantarla?

O. – Me la fecero incidere per farne un provino. Mancava di una strofa, quella che dice: “ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno…” Avrei dovuto portarla in finale a Canzonissima, invece la cantò la Mina e Osvaldo ci rimase male. Anche Tony Renis ci telefonò e si dispiacque perché gli sembrava la diretta continuazione di Tu sei quello.

L. – Anche Quando quando quando doveva essere per Wilma De Angelis, invece le imposero Patatina e lei ancora si morde le mani…

O. – In quegli anni c’erano tanti inghippi, e per fortuna di canzoni belle ce n’erano tante e non si faceva mai brutta figura. Le vendite poi lo confermavano. Prendi Canzonissima, per esempio: io non ho mai avuto voti in sala, e un voto erano 1000 cartoline. La gente, votando da casa, mi faceva arrivare la prima delle donne in gara, sempre. Ho anche pensato che fosse un incentivo per fare votare la gente, perché per le strade intervistavano tante persone arrabbiate del fatto che ero stata snobbata in sala. Per non parlare di quell’anno che hanno trovato tutti quei sacchi di cartoline fuori dai treni, mai arrivati a Torino.

L. – Non avveniva tutto alla luce del sole?

O. – Non sempre. Ricordo quella volta in cui avevano detto a Patty Pravo di scegliere la pallina con la riga verde e lei si è dimenticata e non l’ha mica presa: così è stata abbinata a Tony Del Monaco. In quella pallina con la riga verde che era rimasta ultima e che è toccata a me c’era scritto Massimo Ranieri, e con lui la vittoria era sicura!

L. – E le altre colleghe? Quali sono le sue preferite?

O. – Mina. Io la stimo tantissimo, per me è la più brava in assoluto, però lei è stata anche tanto fortunata, perché gli autori, i più grandi, le hanno portato veramente tutte le più belle canzoni. Noi avevamo gli scarti. E in più lei rifaceva tutte le più belle canzoni che uscivano da Sanremo. Era l’unica che poteva permetterselo. Ha lavorato all’americana ed è stata un genio. Noi altri cantanti non potevamo fare le canzoni degli altri, la casa discografica non voleva. In un LP magari la potevi inserire, ma dovevi comunque cantare canzoni nuove, inedite.

L. – Ho letto da qualche parte che lei conserva dentro agli scatoloni in soffitta tutti i suoi abiti di scena.

O. – Sono legati ai miei ricordi. Per esempio, quello azzurro della copertina di L’altalena io dovevo indossarlo a Canzonissima ’68, ma la Carmen Villani ne aveva uno identico, allora lo fecero cambiare a me che ne avevo uno di riserva. Ne avevo anche uno arancione pesante che sembra un’armatura e che volevo mettere a Canzonissima ‘70. Telefonò Pace e volle sapere com’ero vestita. Gli dissi “sembro una regina” e lui rispose “toglilo subito e non ne parliamo più”. Non me lo fece indossare e preferì che tenessi quello semplice che avevo messo in viaggio, con le farfalle.

L. – Ricorda tutte le cose che ha fatto?

O. – Io non ricordavo che con Ritorna con il sole avevo vinto il festival di Lugano. L’arrangiamento, di Intra, l’ho riascoltato, era moderno e lo è ancora oggi. Proprio l’altro giorno ero a Lugano, al Casinò, su quel palco e quando mi hanno ricordato quella vittoria ho avuto un vuoto. Possibile? Mi hanno detto che mi hanno dato un premio, ma dove l’avrò messo? Poi nel mio sito c’è scritto che ho vinto la prima edizione del Festival delle rose con Voglio dirti grazie, una bella canzone difficilissima da cantare, l’ho riascoltata, e sono note tremende, si spaccava la voce, ecco perché non l’ho mai rifatta nei miei concerti! E pensa che quell’anno arrivò seconda E la chiamano estate di Bruno Martino. Ho detto bah, la gente non capiva niente allora! Quella di Bruno è un capolavoro.

L. – Forse è più bella cantata da una donna. Anche Mina l’ha rifatta nell’album Catene.

O. – Oh, la Mina… Quando ritorno dai miei concerti o dalle serate televisive lavo la mia roba, lavo persino le scarpe, e faccio la sauna ascoltando le sue canzoni. Quelle napoletane, per esempio, lei le rallenta e le trovo così meravigliose e rilassanti!

L. – Quale brano è stato più difficile da incidere durante tutta la sua carriera?

O. – Nessuno, perché prima di registrare studio molto bene. Ho difficoltà con le canzoni che non mi piacciono.

L. – Tipo?

O. – E lui pescava o La ballata del mondo.

L. – Secondo lei Sanremo ha un effetto Jalisse?

O. – Sì. Io per esempio non mi ricordo le canzoni che hanno vinto negli ultimi cinque o sei anni. E sono un’addetta ai lavori. Io il Festival non me lo perdo mai…metti che mi piaccia una canzone, la incido anch’io, come ho fatto con Amami per sempre.

L. – Con chi inciderebbe un duetto?

O. – Con chiunque, se la canzone fosse bella. Certo, un sogno che non si avvererà mai… credo che oramai l’avrete capito, é Mina. Oppure Celentano non mi dispiacerebbe.

L. – Le è mai presa la voglia di scriversi un testo e cantarselo?

O. – No. Lascio queste cose agli addetti ai lavori.

L. – Le piaceva il beat anni sessanta?

O. – Sì, molto. Me lo faceva ascoltare Osvaldo, in macchina, quando andavamo in giro in macchina per le serate. Passavamo ore e ore in viaggio, da Trieste in giù e mi propinava tutti i generi possibili. Oggi, mentre io sono al piano di sotto e magari stiro, i miei ragazzi fanno la sauna o la doccia e mi fanno ascoltare musica contemporanea, soprattutto rock.

L. – E non le viene la voglia di farsi accompagnare da un gruppo di giovanissimi che sperimentano?

O. – Non ci ho pensato, ma credo che potrei farlo, se il pezzo fosse interessante.

L. – E i cantautori italiani?

O. – Jannacci mi diverte molto, amo le canzoni d’amore di Gaber, e quelle di Fabrizio De Andrè che conobbi alle prime armi così mi affezionai molto a lui.

L. – Lei colleziona i dischi che ha fatto?

O. – Sì, ma mia mamma era di una generosità mai vista, e regalava i miei vinili quando non ero a casa, così la collezione non ce l’ho più. Per fortuna ho tanti amici che vanno ai mercatini e mi stanno aiutando a rifarmela.

L. – Com’era bella la tivù anni 60-70-80! Lei è d’accordo?

O. – Sì. Allora si facevano le cose con calma. Oggi vai, ti prepari a rispondere a tutte le domande del mondo e loro hanno fretta e ti sfumano.

L. – E’ in partenza per l’America, poi canterà in Canada, a Toronto, ma il primo maggio cominceranno i concerti in Italia….

O. – Sì, faremo tappa dai nostri amici.  Mio marito ed io amiamo Los Angeles. E ho preso l’abitudine di portare fiori sulla tomba di Marylin (Monroe) che per me è stata la più grande di tutte. Nessuno glieli porta mai durante l’anno, poverina, a parte per l’anniversario della morte, e l’ultima volta le ho preso delle meravigliose rose viola. Poi andremo a trovare la Esther Williams che è molto gentile e carina e mi regala sempre cuffie da bagno.

L. – Andrebbe all’isola dei famosi, se la invitassero?

O. – No. Non faccio vedere la mia pancia a nessuno!

Siamo ai saluti, ma prima di lasciarci ci buttiamo sul vassoio dei pasticcini che avevamo portato per festeggiare il nuovo disco. Orietta confessa che in tanti anni di interviste è la prima volta che un giornalista le offre dei pasticcini.

Poi non resiste e ci accompagna per tutta la casa e ci mostra con orgoglio le sue collezioni, quelle dei puffi, delle acquasantiere, delle bambole, delle porcellane, delle testine Lenci. Su in mansarda, fra centinaia e centinaia di abiti, (Osvaldo dice che prima o poi crollerà il solaio) accarezza le paillettes del più bello fra tutti, quello a strisce bianche gialle e nere della Mila Shon indossato per cantare Quando l’amore diventa poesia in quell’indimenticabile Sanremo 1969. Un pezzo di storia della musica pop italiana!

Per finire in bellezza, anzi in carboidrati, ci offre una confezione di biscotti di pasta frolla fatti da lei, buonissimi, che riserva a Natale agli amici. Ci sono su le sue foto, fra decorazioni e alberi di Natale. E’ un peccato aprire la confezione e mangiarli, perché sarebbero proprio da collezionare…

Dal primo Maggio Orietta sarà in tournée. Le date si trovano nel suo sito, www.oriettaberti.it

Grazie a Giampaolo Guerra per la gentile e preziosa collaborazione.

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